critiche - CRIZZO-2021

CRIZZO
pittore-scultore
menu
Vai ai contenuti

critiche

Le pietre di Orfeo – pittura del mito
Accostarsi alla pittura di Crizzo è cosa semplice: le tele operano sullo spettatore una
immediata – quanto inquietante – fascinazione. Subito però si capisce che l'incontro con le
immagini è impari, e non facile. Molte le ragioni.
I volti, gli atteggiamenti ostentano impassibilità: giocano ambiguamente mostrandosi quasi
come statue - la scultura nella pittura. Non è un caso che Crizzo, nel suo lento e sicuro procedere
verso il risultato pittorico, transiti attraverso il (o parta dal) bozzetto scultoreo. La figura si fa
apprezzare – anche per i suoi valori tattili – per l'intero suo sviluppo nello spazio.
I soggetti non accennano ad alcun movimento: si offrono al nostro sguardo come pura,
immota presenza.
Lo sguardo libero da pregiudizi (come quello dei bambini) varca la frontiera del piano pittorico e
gusta la concretezza statuaria delle figure, la loro enigmatica frammentarietà.
La pittura di Crizzo è dentro il tempo, nel nostro qui e ora, ma ci trascina in un altro tempo
che non si esprime, né si misura. Abitato da figure mutile, emergenti dal suolo, frammentarie o
chimeriche.
Per Crizzo si può parlare tranquillamente di una pittura classica, e su molti distinti piani di
lettura. Non è solo perché attinge al repertorio del Mito: Hypnos, Nyx, Orfeo, Dioskouros... A
partire dalle fonti Crizzo congela il racconto, lo rapprende in una immagine significativa, ne
condensa i tratti essenziali, ne rende visibile la necessità. E ciò è del tutto coerente col mito, che
rifiuta ontologicamente il concetto stesso di tempo lineare, così familiare a noi mortali.
È classica la pittura di Crizzo perché si sottrae volontariamente al mutamento, alle cause,
agli effetti. Instaura una distanza con noi che non riusciamo a colmare. È una pittura paradossale,
che urta la nostra incredulità, e ci obbliga al ragionamento, o più semplicemente, al pensiero.
Nyx, la notte, emerge dal suolo indistinto. Non ne vediamo il corpo, non ne vediamo le
braccia, nascosti da un piano insondabile. La figura ambiguamente mutilata, o sommersa
dall'indistinto, poggia stabile e incompleta. Non ci è dato vedere la notte nella sua interezza. Come
contrappunto all'indistinto, al vago, al nascosto, all'incompleto, sta l'uovo: la sua perfezione, la sua
compiutezza, la sua promessa di futuro. Da lì schiuso attendiamo la nascita di Eros, e le due metà
formeranno cielo e terra. Ma forse questo è ciò che desidereremmo vedere, perché la pittura tace.
Nyx non ci guarda.
Del Dioscuro vediamo il solo profilo sinistro, la figura è dimezzata, e ciò è alquanto
paradossale in un mito che riguarda invece, un doppio. Un profilo rimane nascosto, oscuro e
distante. Il corpo emerge al contempo dal piano opaco e dal vuoto. Il vuoto apre una breccia in uno
spazio di profondità e lontananza. Un piolo infisso nel suolo e solidale al piano della figura sottrae
al Dioscuro ogni possibilità di movimento, e lo confina in un dondolìo virtuale, aumentando il
nostro spaesamento.
Hypnos, dio e figura del sonno, infisso in un blocco di pietra, da cui sboccia inopinatamente
l'elemento floreale. Erma ribaltata, figura in precario equilibrio in cui si legge l'abbandono; forse la
più inquietante e enigmatica delle visioni di Crizzo, con i suoi misurati fuori piombo, con quei
ciottoli che punteggiano il piano, che sembrano, in modo invisibile, sostenere il sonno di Hypnos.
Di Orfeo e del suo corteo di rane, capace secondo il mito di incantare ogni creatura con la
sua musica, di animare le rocce e gli elementi della natura. Rane che sembrano essere scaturite dalle
pietre e che pietre – forse – torneranno, quando l'incantesimo del canto cesserà.
Queste pietre, elemento cruciale dell'opera di Crizzo. Trattengono al suolo il nostro sguardo,
misurano e costruiscono un equilibrio che proprio perché ci pare così erratico e casuale, è invece
così prezioso. Sono la materia stessa di cui è fatta l'immagine, schegge della loro fattura, accordo di
volumi. Sparse qua e là, queste pietre ci richiamano alla profonda cultura visiva del nostro pittore.
C'è Cézanne e molto Antonello, profondamente meditati e ripropostici, senza tempo.
A proposito di materia e pittura, dell'indefinibile sostanza di cui sembrano fatte. A proposito
di tecnica. La pittura di Pippo Rizzo è sapiente. Sicuro mestiere, pratica meditativa, esplorazione
delle infinite e sfuggenti superfici, dei piani e dei corpi, in cui la variazione dei colori, che crediamo
di afferrare, ci sorprende, ci sfugge inesplicabile. Nell'avvicinamento alle tele la pittura di Crizzo si
manifesta ai nostri occhi per quello che è: una festa che celebra il dono della vista. Il condensarsi
del colore, lo stratificarsi dei tocchi di pennello rivelano quello che si produce da sé, quando l'arte è
il frutto di una ricerca autentica, che rifugge ogni maniera o mimesi: uno stile personale in cui si
legge – cristallino – tutto il sincero impegno di un autentico artista.
Francesco Catalano


CRIZZO (Giuseppe Rizzo)
E’ il pittore della forza, dell’effetto immediato, della presenza pregnante,
data dai contenuti e dalle atmosfere rappresentate.
I suoi quadri sono drammatici, intensi, non lasciano spazio ad impressioni o
sensazioni tiepide, tutto è caldo, tutto arriva subito con un’energia che quasi
sconvolge.
Il colore e pieno, forte anche’ esso, tanto quanto le figure, tanto quanto i
temi trattati, derivati quasi sempre dai miti classici, che possono sembrare
lontane dal nostro tempo invece si accostano benissimo alla nostra quotidianità
e rappresentano molti dei temi essenziali dell’uomo d’oggi. Si è come davanti a
scene teatrali, perfettamente rese attraverso una gestualità delle figure che
sembrano scaturire dalla materia; prendono vita uscendo fuori da materiale
inanimato e divenendo creature che sembrano volere emergere per narrare la
propria storia in maniera irruenta, in modo che nessuno possa distrarsi, in modo
che comunque l’attenzione dello spettatore venga catturata.
Nelle opere di Crizzo vi è una presenza costante: la donna simbolo di fertilità,
di procreazione, di vita. Altrettanto presente l’uomo, che però è l’elemento che
introduce temi oscuri, quali la violenza.
Nelle opere più recenti prevale il monocromo, sulle tonalità della pietra, che è
presente come figura in tutti i quadri. La pietra come materia resistente al
tempo.
Si può dire che nella pittura di Crizzo acqua, terra, pietra, mondo animale,
mondo vegetale, si fondono, si alternano, convivono e si incastrano, dando vita
a delle opere, a delle storie, che per impatto visivo ed emotivo si possono dire
possenti.
(Marcella Rizzo)


Raffinato artista dai numerosi interessi, Crizzo dipinge con la naturalezza
tipica del grande maestro d’arte, amante dei colori e delle forme che non sono
pura manifestazione intelligibile che ha fine in sé, ma mondi che trasmettono
determinati o infiniti contenuti, scoperti con lo stupore di uno sguardo
bambino, che ha voglia di stupirsi e meravigliarsi anche dei piccoli dettagli
che prepotenti s’impongono all’attenzione dell’occhio.
Così le sue opere sottolineano <<la particolarità e l’unicità di ogni elemento>>
che viene investito di straordinario interesse, <<come se si vedesse per la
prima volta, come se il suo mistero fosse ancora da svelare.>> Crizzo comincia a
dipingere da bambino, riproducendo fedelmente i capolavori dei più illustri
pittori di ognitempo. Nella sua maturazione artistica viene affascinato dal
mondo greco classico, dal mito ed è questo tema di fondo di buona parte della
sua ultima produzione. Il suo ricorso al mito ne segna anche il ritorno, il
riappropriarsi di storie universali che possono ritenersi, da parte di ognuno,
come personali, se vicine ad un proprio vissuto.
La mitologia, metafora delle umani passioni che si manifestano in ogni tempo e
luogo, dà l’opportunità di andare oltre il segno pittorico, oltre il simbolo,
per dare vita a numerose interpretazioni, per scorgere il significato che si
cela dentro e dietro la tela che interpreta e mai rappresenta.
Da qui, il concetto dell’universalità del messaggio che può essere compreso, in
potenza da tutti, secondo Crizzo, infatti, l’artista deve usare un linguaggio
semplice, comprensibile, perché a tutti venga data la possibilità di vedersi
dentro un’opera d’arte, senza con questo mostrare di avere la pretesa di piacere
a tutti, in considerazione dei gusti e delle sensibilità. << Un’opera comunica
sempre qualcosa e questo qualcosa deve poter essere compreso.>>
Le tele di Crizzo sono rivisitazioni del quotidiano attraverso una lente
simbolica e paradigmatica. Il percorso esistenziale dell’individuo diventa
elemento del mito, viene trasfigurato in allegoria che dispiega significati e
definizioni, si compone di accenni e particolari che moltiplicano i piani di
lettura e rilettura, gli indirizzi di interpretazione. Diventa insomma esso
stesso personaggio e figurazione, parte di una messinscena teatrale ed
affabulato ria, soggetto e concetto di una narrazione per immagini e segni.
(Francesco Giulio Farachi)


“Le pietre di Orfeo”La pittura di Crizzo appare orientata verso una certa
spazialità ed una particolare resa plastica in cui gli effetti della luce e del
colore procedono in maniera separata rispetto all'immagine. L’artista traduce in
una dimensione onirica i suoi personaggi sviluppando con linguaggio autonomo
visioni architettoniche la cui carica suggestiva è immediata ed evidente.
L'equilibrio é uno dei motivi ispiratori che si pone tra la mitologia e i
valori della vita mentre la costrizione della figura nella tela si integra con
la libertà spaziale che la stessa immagine assume nonostante spesso mutilata o
innestata in appendici dall’apparenza marmorea. L’artista tratta temi di
misteriose atmosfere simboliche privilegiando figure cardini in una sorta di
immobile stasi nell’ambito di un contesto dove tutto appare fermo e senza tempo
e dove le sagome e gli spazi sembrano pietrificati per sempre tra il silenzio
più assoluto.La capacità del pittore manifesta sulla tela la condizione
angosciosa dell' uomo attraverso un figurativo in cui qualsiasi oggetto diventa
carico di mistero tra segni, simboli e significati che vengono come vivificati e
nello stesso tempo rielaborati nel passaggio alla forma. La figurazione pare
assorbita dalla stessa coscienza dell’autore il quale opera dentro i confini del
linguaggio creando uno spostamento del simbolismo che viene posto al servizio
della macchina visiva tesa all’immagine di una evidente solennità. Il risultato
è frutto della ricerca avviata sui valori plastici, sul preziosismo cromatico e
sulla qualità della materia pittorica che fondamentalmente fanno emergere – pur
nella modernità - il "desiderio classico" insito nella sua arte.
(Margherita Biondo)
Torna ai contenuti